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Ciclo Orson Welles: Recensione – F come Falso: il saggio personale di Welles

F come Falso: la recensione del film di Orson Welles

Il mago non è altro che un attore che interpreta un mago

Dopo l’ultimo film di finzione, Orson Welles nel 1973 porta al cinema il suo personalissimo saggio teorico sull’arte tout court. Il cinema è protagonista, ma la riflessione parte dalla pittura, passando per la letteratura per poi terminare nelle immagini: un vortice che imprigiona un lascito in continuo peregrinaggio tra le varie arti. La potenza dell’obiettivo della macchina da presa viene vivisezionato dall’illusionista Orson Welles in F come Falso. Eppure il saggio-documentario sperimentale del regista di Quarto Potere fu un flop al botteghino, ma per la società contemporanea è impossibile non evidenziarne i tratti profetici. Ecco la recensione di F come falso, il saggio personale di Orson Welles distribuito nel lontano 1973.

F come Falso, la sinossi del film-saggio di Welles

Con F come Falso, il cui sottotitolo italiano è non a caso Verità e Menzogne, Welles porta in auge un progetto inusuale che mischia il documentario con la fiction, arricchendolo di sperimentazioni visive. Welles ci riesce sfruttando in buona parte il materiale precedentemente girato nel 1968 da François Reichenbach, autore di un film-inchiesta dedicato al falsario Elmyr de Hory, in grado di riprodurre perfettamente i dipinti dei più grandi autori della storia. A sua volta Reichenbach si è ispirato al libro scritto da Clifford Irving, e dedicato al noto falsario; Irving era un giornalista celebre per aver scritto una falsa autobiografia di Howard Hughes, produttore cinematografico e aviatore statunitense di cui si sa realmente poco sulla sua vita personale e ne seguono numero leggende.

 

Questa catena di montaggio tra copisti o illusionisti, come si preferisce denominarli, ispira Welles a girare nuove sequenze per unirle agli archivi comprati da Reichenbach. L’obiettivo è quello di interrogarsi sul cinema e sul senso dell’arte, lasciando spazio al racconto su Oja Kodar, che sedusse Picasso, e del nonno della splendida ragazza, falsario specializzato nel riprodurre le opere dell’artista spagnolo. Ma allora la verità dove sta? Chi ha la consapevolezza di mentire dandosi egli stesso del ciarlatano?

La recensione di F come Falso, film documentario teorico di Orson Welles

I grandi del cinema si sono storicamente posti dei quesiti sul cinema stesso nonché sull’arte tout court, e Orson Welles non poteva esimersi dall’occasione di girare un suo film saggio, tra il documentario e le sequenze sperimentali. Jean-Luc Godard nel 1988 girò Histoire(s) du cinéma, riflettendo proprio sulle storie prodotte dal cinema e la storia del cinema; Dziga Vertov nel 1929 sottolinea le importanti possibilità a cui la macchina da presa deve far fronte per scuotere la realtà, delineando i confini con la finzione nel suo L’uomo con la macchina da presa; e come non citare il montaggio delle attrazioni di Ėjzenštejn. Welles è in continuità con quanto questi geni hanno fatto prima e faranno dopo.

 

L’incipit, come il titolo, sono esplicativi: la magia dell’arte portata dall’illusionista di turno, e a seconda della sua bravura ne consegue il convincimento dello spettatore-consumatore. Welles d’altronde, e lo racconta nel film, dà vita alla sua carriera con una della più grandi beffe della storia, ovvero lo show radiofonico ispirato a La guerra dei mondi. La persuasione dell’imbonitore fu tale da gettare la popolazione americana nel panico, a tal punto che in tanti emigrarono dalla città in campagna per paura degli alieni. L’arte come inganno e falsità, in grado di rimescolare e influenzare gli eventi filmati o ritratti. Si parte da una dimensione di realtà e mantenendo un alone di magia e mistero. La grandezza del cinema consiste nello spiccato usato del montaggio in grado di unire filmati d’archivio, fotografie, dipinti veri o falsi e nuove sequenze. Ma ci si chiede, profeticamente, come distinguere il vero dal falso. Welles arricchisce questo punto interrogativo di comicità, quasi da parodia, dato il paradosso del racconto.

 

La questione evidenziata è relativa alla messa in scena, alla rimodulazione delle immagini secondo – e inevitabilmente – la soggettività di chi la porta a compimenti. La catena dei falsari tocca anche il Welles narratore, allo stesso tempo in grado di compiere magie con la cinepresa e con il montaggio, meritandosi l’appellativo di impostore. Questa è l’ambiguità della rappresentazione, denunciando l’impossibilità di distinzione tra il reale e il simulacro che implica in sé dei gradi di soggettività e di deformazione, soprattutto quando si parla di documentario. Quand’è che chi è intervistato o ripreso smette di essere autentico perché consapevole di essere guardato? In un’opera dove i protagonisti sono dei falsari, qual è la possibilità di verità? Soprattutto quando il falso è doppio se non triplo, quando cioè un falsario d’arte viene raccontato da un falsario letterario ed egli stesso viene raccontato da un regista che mescola più linguaggi cinematografici. E qual è, per l’appunto, l’inganno per eccellenza del ventesimo secolo, se non il Cinema? Infatti sia lo show radiofonico di Welles che il libro di Irving sono basati sul falso, eppure riescono a persuadere e ad ottenere un grande successo.

La proposta teorica di Welles in F come Falso

L’arte è una menzogna che ci avvicina alla verità

Orson Welles in F come Falso dice la sua, raccontando di famosi dipinti emulati perfettamente dal falsario in questione – Elmyr – che a sua volta crea un mercato perché nessuno, nemmeno gli esperti, riescono a distinguerne l’autenticità. Ma è il tempo a tramutare un dipinto, un film, una costruzione architettonica in arte. E ciò lo si afferma nel finale del saggio-documentario, dove il regista si sofferma con delle dissolvenze – il cinema che si rivela come in Quarto Potere – sul capolavoro anonimo della cattedrale di Chartres; Welles afferma che Howard Hughes è uno straordinario personaggio senza autore, mentre la cattedrale è un capolavoro anonimo aldilà dell’autenticità del suo autore-architetto. Davanti al fascino del monumento, ecco che il dilemma vero-falso si annulla.

Voto:
4.5/5
Carmine Marzano
4/5
Alessio Minorenti
4.5/5