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Ciclo Orson Welles – Recensione Falstaff: l’ultimo Shakespeare del regista

Falstaff (Chimes at Midnight) è una commedia drammatica del 1966 diretto e interpretato da Orson Welles. La coproduzione ispano-svizzera è stata distribuita negli Stati Uniti come Chimes at Midnight e nella maggior parte dell’Europa come Falstaff. La trama del film è incentrata sul personaggio ricorrente in diverse opere di William Shakespeare, Sir John Falstaff, e sulla relazione padre-figlio che ha con il principe Hal, che deve scegliere tra la lealtà a suo padre, il re Enrico IV, e Falstaff.

La recensione di Falstaff e la recitazione di Orson Welles

La recitazione di Welles nei panni di Falstaff è una delle sue migliori, calibra un’esuberanza sfrenata con una commovente vulnerabilità, le sue espressioni facciali e le modulazioni della sua voce suggeriscono un’astuzia vigile in un momento e un’apertura a tutto lo spettro delle emozioni umane nell’altro. A coadiuvare Welles nella sua performance, King Henry di John Gielgud e Hal di Baxter sono entrambi delineati con grande sensibilità: Gielgud potente e maestoso ma allo stesso tempo profondamente ferito dal comportamento di suo figlio, Baxter chiaramente affezionato a Falstaff ma con una disposizione d’animo ironica nei confronti del resto. In ruoli minori, Margaret Rutherford regala il cuore di Mistress Quickly e Norman Rodway anima di umorismo e giocosità il personaggio di Hotspur. A questi si devono aggiungere Justice Shallow di Alan Webb e Doll Tearsheet di Jeanne Moreau.

Recensione di Falstaff di Orson Welles

Recensione di Fastaff: le differenze con l’opera di Shakespeare

Mentre buona parte delle preoccupazioni storiche di Shakespeare sono almeno in una certa misura taciute nella trasposizione di Welles, il quadro storico ritorna nella straordinaria sequenza della Battaglia di Shrewsbury, in cui il regista si libera interamente dell’impostazione teatrale così da presentare un’azione priva di parole che tuttavia è allo stesso livello dei versi più sublimi mai scritti dal Bardo.

 

La sequenza è brillantemente montata, realizzata a volte con una fotocamera a mano, a volte con obiettivi grandangolari e con effetti di slow motion e fast-motion (risultando incredibilmente moderno nella messa in scena). A partire dalla relativa compostezza dei cavalieri che si avvicinano l’un l’altro da diverse direzioni, il rapido movimento della telecamera e le rapide panoramiche contribuiscono a creare un senso di caos e confusione, consentendo allo stesso tempo a Welles di mascherare la relativa povertà dei mezzi tecnici e a livello di comparse a sua disposizione. L’effetto finale è più sottile, meno meccanico di quanto la descrizione della battaglia possa mai suggerire. La colonna sonora combina musica vocale e strumentale con grugniti, grida e urla, allo scontro di spada contro spada, armatura contro armatura. Mentre la battaglia impazza Welles in un’armatura barocca si imbosca e vive la tragedia sotto i suoi occhi come una farsesca messa in scena. Ispirato chiaramente alle sequenze di battaglia costruite in modo simile nell’Alexander Nevsky di Eisenstein e dall’Enrico V di Laurence Olivier, Welles mostra la guerra nella sua forma più brutale e non eroica: fangosa, disordinata, sanguinosa, a volte farsesca, ma alla fine tragica.

Recensione Falstaff: l’ultimo Shakeaspeare in Orson Welles 

La maggior parte dei registi muove gli attori o sposta la telecamera, Welles come sempre riesce magistralmente a compiere entrambi questi gesti artistici allo stesso tempo. La gestione della dinamica dell’azione e della tragedia allo stesso modo donano all’opera un lirismo visivo e un fascino immortali.

Voto:
4.5/5
Carmine Marzano
5/5