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Shutter Island: L’isola della violenza

Il 2010 è stato senza dubbio l’anno di Leonardo DiCaprio, che uscì in sala con due delle sue interpretazione più iconiche: Il Dominic Cobb di “Inception” e l’agente Edward Daniels di “Shutter Island”. Quest’ultima è stata anche la sua quarta  collaborazione con il regista che fece, all’epoca, di lui il suo nuovo attore feticcio, contribuendo non poco al suo sempre più crescente successo: Martin Scorsese.

Il maestro della settima arte, autore di capolavori come “Taxi Driver”, “Toro scatenato” e “Quei Bravi ragazzi”, e fresco del suo Oscar per “The Departed – Il bene e il male“, decide di trasporre il libro “L’isola della paura” di Dennis Lehane (scrittore dai cui romanzi erano già stati tratti “Mystic River” e “Gone Baby Gone”) confezionando un thriller-psicologico dalle forti tinte Horror, cupo e destabilizzante.

È il 1954, gli agenti federali Edward “Teddy” Daniels e Chuck Ale giungono all’Achecliff Hospital, su Shutter Island, un manicomio isolato e altamente sorvegliato, diretto dal dottor John Cawley. Motivo del loro arrivo, l’indagine sulla scomparsa di una paziente, Rachel Solando, internata dopo aver affogato i suoi tre figli e rinchiusa da allora in una stanza blindata sotto trattamento della casa di cura. I due si troveranno da subito a dover fare i conti con i terrificanti misteri della struttura, ed in particolare Teddy, che porta con se un pesante fardello legato alla seconda guerra mondiale, si troverà sempre più invischiato in una fitta rete di sospetti, ipotesi di complotto e sconvolgenti rivelazioni che lo destabilizzeranno sempre più, rischiando di condurlo alla follia. Perché su Shutter Island nulla è ciò che sembra e tutto può essere manipolato e messo in discussione. 

Scorsese parte dal Noir e lo arricchisce di un’estetica gotica e crepuscolare. Delinea un racconto claustrofobico ed ermetico, asfissiante tanto per i suoi personaggi quanto per lo spettatore sottoposto a continua tensione.

Fondamentale è l’apporto della fotografia, che fa della luce un uso peculiare e destabilizzante, alternando sequenze dai colori brillanti, quasi accecanti, a momenti di profondo buio. Ciò è maggiormente percettibile nelle splendide sequenze oniriche legate ai ricordi annebbiati e confusi del protagonista, vere opere d’arte, dove i colori sono stesi come olio su tela, volte a confondere, sbalordire e disorientare lo spettatore. Grande protagonista è anche la colonna sonora, non originale, ma composta da una sapiente ricerca di brani orchestrali tra cui non posso non menzionare lo splendido “On The Nature of Daylight” di Max Richter, malinconico e commovente. 

A dir poco perfetto il cast. Al già citato Leonardo DiCaprio, a lui il ruolo principale della pellicola in una delle sue migliori interpretazioni in carriera, si affianca un convincente Mark Ruffalo nei panni del suo collega. Veramente di pregio l’apporto, poi, dei due grandi “veterani”, Max Von Sydow e Ben Kingsley nei panni dei direttori del manicomio. C’è però un ultimo grande e indiscusso protagonista: L’isola. Quell’isola misteriosa e tenebrosa che spesso è stata centrale nella cinematografia come simbolo dell’ignoto e del male nascosto, e qui lo è più che mai, pronta ad inghiottire ignari esploratori. Quell’isola sulla quale si giunge tramite un battello tra le nebbie, quasi come se fosse la Skull Island di “King Kong“. 

Shutter Island è un thriller da manuale, un percorso ad ostacoli per lo spettatore, cupo ed angosciante, in cui non mancheranno colpi di scena e sconvolgenti ribaltamenti di prospettiva. È un film sulla violenza, la violenza fisica e la violenza psicologica, quella violenza che distorce e devasta la mente, quella violenza che purtroppo ci pervade e ci circonda, dal campo di battaglia al giardino di casa. Violenza emblematicamente rappresentata nella sua duplice forma dalle due guerre a cavallo delle quali il film si ambienta e delle quali se ne sente il peso durante tutta la pellicola. Da un lato la seconda guerra mondiale, quella più fisica, tangibile, che lascia traumi e cicatrici irreparabili, dall’altro la guerra fredda, con la sua violenza più subdola e sotto traccia, fatta di paure e paranoie. 

Shutter Island è un viaggio nella mente del protagonista con il protagonista, un film difficile da dimenticare di cui consiglio assolutamente una seconda visione per rendersi conto di come, una volta scoperta l’agghiacciante verità finale, questa fosse stata in realtà di fronte a noi sin dalla prima inquadratura senza che neanche ce ne accorgessimo. È un film che destina tutto il suo significato e la sua chiave di lettura a quell’ultima sequenza e a quell’ultima battuta, come d’altro canto, un maestro della cinematografia mondiale come Martin Scorsese, ci ha da sempre abituato a fare. 

"Cosa sarebbe peggio? Vivere da mostro o morire da uomo per bene?"

Voto:
5/5
Andrea Barone
4/5
Andrea Boggione
4/5
Christian D'Avanzo
3/5
Paolo Innocenti
4.5/5
Carmine Marzano
3.5/5
Alessio Minorenti
3.5/5
Paola Perri
4/5
Giovanni Urgnani
3.5/5