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Uccellacci E Uccellini: L’Umanità Senza Meta Di Pasolini

Uccellacci e Uccellini Pasolini

Per la nostra rubrica dei classici, stavolta abbiamo scelto uno dei film più celebri del maestro Pier Paolo Pasolini: si tratta di “Uccellacci E Uccellini“, uscito nel 1966 e presentato in concorso al Festival di Cannes di quell’anno. L’opera narra di Totò Innocenti e di suo figlio Ninetto intenti a vagabondare per la città mentre cercano di risolvere alcune faccende lavorative e private. Lungo la strada incontreranno un corvo capace di parlare e che continua per tutto il tempo a commentare le ragioni o le stranezze dell’esistenza umana.

 

Sembra quasi superfluo commentare la regia di Pasolini, la quale grandezza è talmente splendida da far apparire l’uomo tanto piccolo quanto unico per le sue apparenze: i primi piani sui volti richiamano o alla dolcezza della vita durante i momenti sereni o al grottesco della nostra specie durante i momenti cattivi, mentre campi lunghi inquietano nella profonda immensità dei luoghi naturali o industriali. Non mancano parti che richiamano al cinema muto, con grandi omaggi a Buster Keaton ed a Charlie Chaplin quando vediamo il protagonista Totò muoversi tramite frame velocizzati o quando muove le gambe per esprimere le assurdità del suo personaggio. A tal proposito, il montaggio di Nino Baragli è sfruttato dal regista attraverso dei tagli veloci mentre le figure del racconto si muovono come se volesse far cantare tutta la storia attraverso dei sonetti… cosa che effettivamente fanno persino i titoli di testa accompagnati dalla bellissima colonna sonora di Ennio Morricone mentre ogni nome che compare sullo schermo viene cantato da Domenico Modugno.

 

Questo film arriva dopo il capolavoro “Il Vangelo Secondo Matteo“, il quale metteva in evidenza la speranza dell’autore nei confronti del movimento comunista criticando aspramente la distruzione della ricchezza contro l’animo dell’uomo puro che viene corrotto o impedito di prosperare… finché appunto, la speranza verso i lavoratori e gli umili non trionferà, simboleggiata dalla resurrezione di Cristo. Il motivo per cui ricordiamo l’opera precedente è per mostrare l’esatta contrapposizione che si verifica invece con “Uccellacci E Uccellini”: l’Italia in quel momento stava affrontando un profondo cambiamento che metteva in luce l’inizio della fine di quel grande boom economico nato dopo la conclusione della guerra. Il comunismo e le speranze date dalle riflessioni intellettuali, che avrebbero dovuto portare ad agire sempre di più per la prosperità del paese, si erano rivelate purtroppo insufficienti per andare avanti… ed il film di cui stiamo parlando rappresenta la risposta dell’autore a queste speranze totalmente disilluse.

 

 

Forse il simbolo totale della risposta a questa delusione sta nel racconto del corvo sui frati al servizio di San Francesco, il quale ha incaricato loro di benedire i passerotti ed i falchi affinché riescano ad unirsi e a vivere insieme. Il racconto, che si collega al film apparentemente religioso uscito in precedenza, mostra la grandezza della natura e la bellezza tenera ed anche buffa della fede, la quale cerca in tutti i modi di credere in un ideale forte… ma quando il frate, interpretato sempre da Totò, sembra essere riuscito a far ragionare gli uccelli, subito dopo vediamo un falco uccidere un passerotto per mangiarlo. Nonostante San Francesco, che non si arrende, richiede ai frati di ricominciare il lavoro d’accapo, l’azione del falco è la palese risposta che Pasolini da’ a lui stesso ed al pubblico: non è possibile trovare un punto di incontro tra la classe operaia (i passerotti) e la classe borghese (i falchi), perché è nella natura dell’uomo come in qualunque altro animale che ci sia un dominato ed un dominatore, l’essere più debole e l’essere più forte… ed è per questo che forme come il cristianesimo e quindi anche il comunismo diventino soltanto ideali che sono belli ma inapplicabili.

 

Ma se il ragionamento è questo… quale sarà la soluzione che l’autore propone? Semplice: nessuna, come dichiarato fin dall’inizio del film. I personaggi vagano senza una meta come l’umanità stessa. Ma il regista non se ne sta a guardare, anzi, mostra tutti i difetti e tutte le bellezze del mondo, lasciando che sia lo spettatore a riflettere e a dare una sua conclusione. Vediamo infatti il personaggio Totò Innocenti fare lo strozzino nei confronti di una povera famiglia che non ha soldi, mentre il giovane figlio del prepotente si esalta di fronte a tale azione, mostrando quindi una probabile influenza negativa sulla nuova generazione e che quindi è destinata a non finire nei tempi futuri, mentre invece i bambini dei poveri sono costretti a morire di fame ed i genitori cercano di far credere loro che si tratti solo di un brutto sogno, perché solo nel sonno le paure del mondo sembrano non esserci più… ma i bambini, a cui viene costantemente urlato che è notte, non possono dormire per sempre e prima o poi dovranno lottare contro la fame… o probabilmente soccombere.

 

L’ipocrisia umana viene però mostrata quando lo stesso Totò viene minacciato da un uomo più ricco di lui che lo esorta a dargli i soldi se non vuole finire in galera… e qui si ricollega nuovamente a ciò mostrato nella parabola dei frati e degli uccelli: è nella natura dell’uomo voler sottomettere ed essere sottomesso, perché c’è sempre un pesce più grosso di quanto noi crediamo di esserlo. Ma in questa distruzione, l’autore mostra anche la gioia e possiamo vederla nel momento in cui assistiamo ad un’attrice che improvvisamente deve partorire interrompendo uno spettacolo dove reinterpreta un mito… perché lo spettacolo più grande, che noi cerchiamo sempre nel cinema ed in qualunque altra arte, è la vita stessa che va avanti e ci lascia emozioni che solo il pianto di un neonato può darci. Questa dolcezza viene richiamata, per esempio, pure in una semplice cotta presa dal giovane Innocenti (il cognome non è scelto a caso) nei confronti di una ragazza che si prepara ad uno spettacolo vestita da angelo: il sogno dell’amore che l’arte può riprodurre ma che è già immerso nel subconscio dell’essere umano a prescindere.

 

 

Questa descrizione quasi fiabesca di un’umanità in cui c’è amore e guerra viene interrotta dall’improvviso documentarismo della morte di Palmiro Togliatti, mostrata con riprese del reale funerale. La morte di un politico che è stato uno dei portavoce principali del comunismo, se non il portavoce principale, è il simbolo della morte dei sogni comunisti avuti dagli intellettuali. Tale morte verrà confermata dalla morte del corvo, il quale non ha fatto altro che accompagnare i nostri protagonisti commentando le stranezze dell’umanità fino a scocciarli… perché l’intellettuale parla e analizza, ma anche lui ha fallito nel trovare una soluzione per questa società che va avanti e per questo viene mangiato dai protagonisti stessi, esprimendo in maniera estrema il concetto che nutrendosi di un intellettuale ci si pone l’illusione di poterne ereditare almeno un pezzo. E dopo la morte del corvo, l’umanità va avanti senza soluzione, nella speranza che un giorno qualcosa ci apra gli occhi per trovare un nuovo punto d’incontro che però Pasolini non riesce al momento a decifrare.

 

E tutte queste domande, tutte queste rappresentazioni vengono espresse o ammirate da una delle più grandi performance di Totò il quale, con il suo volto di gomma completamente malleabile, esprime ogni lato inconscio dell’animo umano per comunicare al grande pubblico tutte le incertezze domandate dal regista, attraverso le risate (sarcastiche e non), la tristezza, la rabbia, l’amore e la rassegnazione. L’italiano medio che comunica con l’artista sperando di trovare un punto d’incontro tra l’intellettuale ed il proletariato. Anche questo, con la scelta di Totò come protagonista, è un’altra domanda che Pasolini si pone ed è solo la punta di diamante di questo “Uccellacci e Uccellini”, il quale rappresenta una delle vette massime dell’autore ed uno dei più grandi capolavori che il nostro cinema italiano abbia mai avuto.