Pinocchio al Cinema: Un burattino di nome Pinocchio (1972)

Articolo pubblicato il 25 Maggio 2022 da Christian D'Avanzo

Un burattino di nome Pinocchio è un lungometraggio di animazione italiano del 1972 ed è l’opera più nota dell’animatore e regista Giuliano Cenci, considerato dalla critica per talento e capacità organizzative il Walt Disney italiano. Realizzato in full animation, a passo 2 (due fotogrammi per disegno), la tecnica di animazione dei lungometraggi della Disney, Cenci vi impiegò oltre cinque anni di lavoro con un’equipe di oltre cinquanta fra artisti e tecnici specializzati. Il film fu esportato in oltre venti paesi del mondo. Segnaliamo inoltre che il film fu terminato nel 1971 ma distribuito, dopo varie complicazioni, nel dicembre del 1972.

Lungometraggio che si presenta come una trasposizione fedele del romanzo di Carlo Collodi per atmosfere e modalità di racconto, proprio come se si desse vita alle pagine scritte. Il voice-over ad introdurci le avventure di Pinocchio non è il Grillo Parlante come nella versione Disney, ma un narratore di cui non conosciamo identità poiché svolge il ruolo di imbonitore. E allora, siccome la struttura quasi episodica cerca di riprende di pari passo tutte le (dis)avventure del burattino, la voce narrante per alleggerire e per strappare un sorriso agli adulti si concede qualche deriva ironica. Va da sé che il target di base sono i bambini, e lo si evince dall’abbondante didascalismo con cui procede il racconto: ogni tanto si ferma facendo recitare una morale ai personaggi che vediamo sullo schermo, rafforzando quello che Pinocchio ha appena passato per imparare successivamente a comportarsi meglio. D’altronde il protagonista è un bambino in crescita che pur di evitare i doveri della vita cerca costantemente delle scorciatoie (sia di fatto che in modo simbolico). L’amore incondizionato che riceve dalla sua mamma acquisita, la Fata Turchina, e da suo padre Geppetto, saranno il fulcro della sua reale maturazione fino a diventare un bambino vero. L’allegria ci viene trasmessa dalle gag comiche tra i personaggi, dall’ironia del narratore, e dall’irresistibile colonna sonora curata da Vito Tommaso e Renato Rascel (anche autore della canzone presente nel film), stoppata soltanto nei momenti più drammatici come la trasformazione di Pinocchio e Lucignolo in asini, oppure ancora durante la notte in cui il burattino viene cacciato dagli assassini, il Gatto e la Volpe. Passando invece ai limiti di quest’opera, potremmo evidenziare che il passaggio tra un momento del racconto ad un altro tramite la spiegazione degli eventi da parte della voce fuori campo, mostrandoci nel contempo dei disegni a matita su di un libro animato al quale vengono girate le pagine, rischia di risultare un’inutile abbondanza di didascalismo per legare una scena ad un’altra senza mostrarci le vere animazioni del film. Una scelta magari dettata per mancanza di tempo (la durata di 93 minuti è azzeccata) e\o soprattutto per mancanza di budget sicché i costi sono stati elevati già così, figuriamoci aggiungendo ulteriore minutaggio. Si nota che è figlio dei suoi tempi per la funzione pedagogica, in Italia si è sempre parlato della televisione come buona maestra, e di conseguenza questo prodotto animato distribuito nelle sale cinematografiche coincide con quell’ideologia seppur non destinato al piccolo schermo. Tra l’altro se notate bene, alcuni personaggi sono identici nelle fattezze, come la guardia che arresta Geppetto ad inizio film e Mangiafuoco, oppure il padrone della tavola calda ed il contadino che fornisce il latte a Pinocchio nel finale. Come a voler dare più ruoli ad uno stesso attore.

Strappa un sorriso amaro notare come una volta si parlava di Cenci come il nostro personalissimo Walt Disney, perché l’animazione italiana ad oggi è quasi inesistente, tolto Enzo D’Alò e i pochi esempi che potremmo fare: La famosa invasione degli orsi in Sicilia e la serie tv Strappare lungo i bordi. Per il resto tabula rasa. Le animazioni all’epoca costarono parecchio, e anche se a volte risulta leggermente macchinosa (ma d’altronde anche qualche animazione giapponese dimostra di esserlo, ad esempio fermando l’immagine ma continuando il dialogo) è davvero ben riuscita per l’espressività dei personaggi e le scenografie. L’italianità è presente anche nel dialetto dato ai due burattini di Mangiafuoco, Pulcinella ed Arlecchino, rispettivamente il napoletano e il veneto (due maschere simbolo, non a caso) ma anche in qualche termine toscano sparso qua e là e all’omaggio fatto ad alcune opere d’arte della Toscana, tra cui un’immagine della Madonna del Cardellino. Inoltre, quando la capanna che Pinocchio e Geppetto trovano usciti dal Pescecane si trasforma in casa lussuosa, la sua parete prende l’aspetto del soffitto della Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio.

Un burattino di nome Pinocchio è sicuramente da vedere nonostante qualche difetto che a buon cuore gli si può perdonare, soprattutto se avete amato il romanzo di Carlo Collodi e siete legati a questa storia!

Questo film è dedicato ai ragazzi di tutto il mondo, e a quegli adulti che dei ragazzi abbiano conservato la semplicità di cuore, il senso di giustizia e lo spirito di fraternità.