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Top Gun – Maverick: il cinema che vola oltre i limiti

recensione Top Gun Maverick

Il primo “Top Gun” diretto da Tony Scott è entrato a far parte nell’immaginario collettivo del pubblico ed è uno dei cult più ricordati negli anni 80. Tuttavia, a dispetto di un’interessante resa visiva ed un’eccellente colonna sonora che sono entrambi elementi invecchiati benissimo, il cult in sé risulta essere abbastanza superficiale e facilone in temi abbastanza delicati come la guerra e le tensioni dell’epoca, diventando più uno specchio propagandistico che un film realmente concreto nella sostanza. Oggi l’opera appare innocua (la propaganda infatti risulta essere più ingenua che dannosa rispetto ad opere come “Rambo III”), ma non ci troviamo di fronte a più di un film d’intrattenimento che si guarda senza troppe pretese. Tuttavia con il suo sequel “Top Gun – Maverick“, che abbiamo potuto vedere in anteprima, Tom Cruise, che riprende i panni del protagonista, ha promesso che l’approccio sarebbe stato totalmente diverso dall’originale e molto più ambizioso. Gli abbiamo creduto guardandolo? Scopriamolo.

 

La trama del sequel, ambientato 34 anni dopo, vede il capitano di vascello Pete Maverick Mitchell, considerato una leggenda nel settore dei piloti, che tenta disperatamente di salvare il lavoro suo e dei tecnici dall’imminente sostituzione dei nuovi aerei automatizzati. Tuttavia, contro la sua volontà, il prossimo compito di Maverick è quello di addestrare dei giovani piloti per riuscire a completare una missione estremamente difficile e pericolosa. Le cose si fanno ancora più difficili quando Maverick scopre che tra i piloti c’è Bradley Rooster Bradshaw, figlio del migliore amico di Maverick il quale morì davanti a quest’ultimo durante un’esercitazione militare.

 

 

Dal punto di vista visivo, il confronto con il precedente appare ingiusto, così come per qualsiasi altro film d’azione che abbia mai sperimentato una scena di volo… e non si parla a sfavore di quest’opera. Questo perché Tom Cruise ha avuto la follia di decidere di pilotare realmente degli aerei da guerra per realizzare le scene d’azione. Il risultato è qualcosa di straordinario: si ha la sensazione di stare realmente sospeso nel vuoto cosmico, si sente la forza di gravità contrarre i volti affannosi dei piloti (anche grazie ad un eccellente sonoro che facilita l’immersione), le mosse improvvise degli aerei accanto agli altri disorientano con attacchi a sorpresa attraverso una velocità potentissima e la macchina da presa attaccata al veicolo, che segue ogni dettaglio di questi voli reali all’interno di essi, fa in modo che lo spettatore quasi abbia paura di cadere dall’aereo stesso perché non riesce a reggere l’impatto con l’aria che percepiamo. Non è un caso che Tom Cruise abbia chiamato alla regia Joseph Kosinski, il quale non solo ha lavorato bene con l’attore sul set in “Oblivion“, ma ha anche già sperimentato un uso delle tecnologie completamente nuovo in “Tron Legacy“. L’impostazione visiva di questo film è un segno che dimostra che il cinema può ancora sorprendere tanto con tecniche di ripresa che non sono mai state sperimentate in modo da dare un’esperienza che trascina su mondi fino ad ora inesplorati, perché mai nessun film ha mai dato la sensazione di volare con i soldati militari in un modo così vicino. Se volete provare un brivido più realistico, allora vi conviene direttamente pilotare un aereo stesso.

 

Se visivamente l’opera è una gioia per gli occhi, dal punto di vista della storia si ricorda di avere umiltà e decide di non copiare spudoratamente gli stessi elementi del primo film come hanno fatto già operazioni nostalgiche facilone come “Independence Day: Rigenerazione” o “Space Jam: New Legends“, ma da l’illusione di svolgere questo compitino. Per spiegare meglio, il film è costantemente accompagnato dalla colonna sonora che riprende i bellissimi temi creati da Giorgio Moroder nel primo capitolo (splendidamente riarrangiati da Hans Zimmer) e più volte ripercorre dei momenti che richiamano a scene del film precedente. L’opera accontenta lo spettatore nostalgico che rivede al cinema momenti vissuti nella sua adolescenza, ma questo ripercorrere è solo un’apparenza: la partita di pallavolo nel primo film evidenziava costantemente i corpi dei personaggi per mostrare la bellezza del modello americano che puntava ad essere perfetto in ogni estetica rispettando i canoni reaganiani, mentre qui invece i corpi non sono evidenziati e la partita di pallavolo serve a mostrare non più l’individuo fisico, ma l’importanza della collettività. Per fare un altro esempio, abbiamo anche la scena di canto vista già nel primo capitolo ma che stavolta è simbolo della paura ansiogena di non essere mai riusciti ad andare oltre i propri ricordi e le proprie paure. Si ripercorrono scene iconiche per raccontare invece qualcos’altro.

 

 

Dove infatti il cult originale aveva un estremo fascino per il grande progresso militare che si viveva in una nuova ricchezza economica, questo film invece riflette su come il progresso automatizzato rischia enormemente di compromettere il valore dell’essere umano che non può essere rimpiazzato da dei semplici numeri operativi. Dove il cult originale mostrava dei personaggi che prendevano le missioni di guerra come qualcosa di figo che si può fare tutti i giorni, questo film invece ti fa sentire ogni singola fatica ed ogni singola pericolosa difficoltà delle persone che praticano questo mestiere, aiutata non solo dalla realisticissima grande messinscena tecnica, ma anche dai dettagli dei dialoghi che indicano una forte paura che cresce sempre di più nel corpo. Adesso l’obiettivo non è più superare tutti quanti, non è più diventare il più grande pilota esistente mettendosi al centro del mondo, ma è invece tornare a casa sani e salvi. E per tornare a casa bisogna impegnarsi al massimo per superare i limiti delle proprie abilità, ma non per esibizionismo, quanto per sopravvivere, per mettere al sicuro tutti. Non c’è più l’egoismo reaganiano, c’è solo la collettività e soprattutto, l’importanza della forza umana, perché non conta più il progresso tecnologico, quanto l’abilità del pilota nel riuscire a controllarsi e a prendere le redini di situazioni estremamente difficili, qualunque sia l’apparecchio nelle proprie mani. E per formarsi, per riuscire ad andare avanti, ci vuole solo comprensione del prossimo e la forza di volontà di andare avanti.

 

Nonostante abbia spesso citato il primo film per fare un paragone ed indicare una straordinaria maturazione, “Top Gun: Maverick” può essere tranquillamente visto anche se non si ha dato un’occhiata al film di Scott, confermando l’intelligenza di questa operazione produttiva. Questa nuova opera di Kosinski è la conferma di quanto la settima arte può ancora dare tanto per testare nuovi orizzonti visivi regalando un’esperienza al pubblico senza pari, ma è anche un bellissimo e realistico ritratto di soldati che, più che essere tali, vogliono solo dare qualcosa al mondo per renderlo sicuro e sentirsi in questo modo liberi, creando delle vere e proprie unioni. Il nemico non è più un paese esterno, ma è un demone che affrontiamo dentro noi stessi, un demone che sarà cancellato roteandosi nel cielo con libertà e attenzione. Un film che parte dal passato per staccarsene e cercare una vera e propria evoluzione. E con questo ultimo lungometraggio con protagonista il coraggioso Tom Cruise che ha voluto portare un’ulteriore esperienza visiva che fa beare il pubblico spingendosi su nuovi orizzonti, a superare i limiti non sono solamente i personaggi, ma il cinema stesso.

Voto:
4.5/5
Andrea Boggione:
4/5
Christian D'Avanzo:
4/5
Paolo Innocenti
4/5
Alessio Minorenti:
4/5
Giovanni Urgnani:
3/5
Data di rilascio:
Regia:
Cast:
Genere:

PRO