Tornano #IConsigliati di Quart4 Parete per un “extra” in tutti i sensi: sia per il film in questione, data la distribuzione in sala de La fortuna di Nikuko, sia per l’unicità di quest’opera nella nostra rubrica, essendo recente e presente al cinema fino a mercoledì di questa settimana. Prodotto da Studio 4°C e diretto da Ayumu Watanabe, già regista di due dei film di Doraemon e I figli del mare (una delle vette più alte del 2019). La fortuna di Nikuko è un adattamento del romanzo omonimo scritto da Kanako Nishi nel 2014, che ha poi ispirato il manga uscito lo scorso gennaio e per cui questa storia ne ha trattato giovamento in termini commerciali e di visibilità. Arriva al cinema come un’ulteriore esecuzione del soggetto di base, in Italia come evento extra da lunedì 16 fino al 18 maggio. Abbiamo deciso di inserirlo tra i nostri consigliati proprio per la breve disponibilità in sala e, piuttosto che lasciarlo nel dimenticatoio, ci sentiamo di consigliarlo particolarmente. Informiamo i lettori che di solito ne #IConsigliati non inseriamo i voti, ma dato che si tratta di uno speciale, questa volta faremo un’eccezione!
Coming of age al femminile, le protagoniste sono Kikuko, bambina di 11 anni che vive in una casa galleggiante al porto con sua madre Nikuko, una giovane donna di 38 anni espansiva e golosa di cibo. Se state pensando ad un errore di battitura, state tranquilli che non è così. Si tratta di un gioco di parole ideato proprio da Nikuko differenziando il nome di sua figlia dal suo di un solo ideogramma, ed essendo legata molto alla carne, al piacere che le procura mangiarla, crea anche un sottile gioco di parole col proprio nome e il proprio cognome (Niku vuol dire carne in giapponese; mentre il suo cognome, Misuji, è un taglio del manzo).
L’incipit ritrae Nikuko senza rischiare di spaesare in qualche modo lo spettatore ma, al contrario, lo immerge nella storia descrivendo in voice-over (di Kikuko) la personalità della protagonista: una donna eterna bambina ancora in grado di sorprendersi delle piccolezze che la vita tutti i giorni ci mette di fronte, si fida ciecamente delle persone e in particolare degli uomini a cui affiderà il suo cuore, successivamente restituitole malconcio. Dopo svariate delusioni e trasferimenti continui, finalmente trova stabilità con sua figlia Kikuko alloggiando in una barca, quella di Sassan, l’uomo proprietario del ristorante dove lavora per guadagnarsi da vivere. Sin da subito le animazioni dalle linee morbide e dai colori nitidi, mettono in evidenza l’importanza del cibo nella vita (lo studio Ghibli ha fatto scuola) celebrando anche il mare e l’acqua (Nikuko adora andare all’acquario) elemento che fa parte del corpo umano. E l’umanità è decisamente il fulcro di questa storia basata sulla quotidianità, su un ritratto di vita vissuta composta da pregi e difetti, quasi agrodolce per utilizzare un termine culinario. La duplicità dei punti di vista offre uno sguardo più profondo di quello che potrebbe in realtà sembrare questo lungometraggio di 96 minuti, poiché di base manca una vera e propria trama e la narrazione, pur seguendo un filo conduttore, non è rafforzata da particolari espedienti. Ma la sua forza è proprio questa, cioè rendere straordinario l’ordinario mostrandoci anche con qualche didascalismo, essendo rivolto ad un target che cerca di appassionare i più piccini quanto gli adulti, la monotonia (non per forza in senso negativo) di tutti i giorni, un approccio al vivere senza appesantirsi troppo di problemi superflui. In tal senso la dicotomia tra i punti di vista funziona benissimo: da una parte il genitore, Nikuko, ancora in grado di sorprendersi per un buon pasto o per un pinguino di cui nemmeno ricorda il nome, nel credere ripetutamente nelle favole d’amore; dall’altra abbiamo la figlia, Kikuko, a tratti più matura di sua madre e da lei vorrebbe anche distanziarsene per tratti somatici e carattere, dato che non mancherà occasione di farla imbarazzare davanti le sue compagne di scuola. Figurative le animazioni, sia per character design con una Nikuko simil Totoro (ancora il Ghibli a fare scuola) staccata dagli altri personaggi sia per movenze energiche che per fisionomia, con un ottimo riscontro in termini di genuinità. Inoltre per tutta la durata del film la protagonista non viene mai mostrata in compagnia di solide amicizie, questo fa presuppore tutte le difficoltà da lei incontrate fino ad adesso (non a caso conduceva quasi una vita da nomade) e il suo essere alienata ma in costante ricerca di approvazione da parte della figlia. Parallelamente Kikuko ci viene mostrata in difficoltà a scuola, sintomo di un rapporto altalenante con le sue compagne di classe, e con una in particolare battibecca per poi pentirsene (quasi) scoppiando in lacrime, e mostrando maturità forse anomala per l’età che ha. C’è pure il primo amore tra i banchi, un ragazzino timido con una peculiarità: ama fare le smorfie credendole normali. Eppure abbiamo tutti quella stranezza di cui i bambini col tempo prendono consapevolezza, poi sta a loro accettarla o rigettarla a seconda di come si trovano, magari anche fregandosene di omologarsi obbligatoriamente (che poi è quello che fa Nikuko). L’accettazione di sé e dell’altro è un discorso fondamentale e non dovrebbe mai essere preso con troppa leggerezza, eppure quest’opera riesce a fondere toni divertiti e spontaneità con la riflessione intrinseca all’animo umano. Nikuko ha un animo nobile, e Kikuko la ama perché capisce le sue buone intenzioni, ed anche se crescendo non diventerà come lei nelle rotondezze e nei modi goffi, avrà sicuramente un grande cuore.
La femminilità è un’altra colonna portante dell’opera, con il flashback a tre quarti di film (animazione retrò, quasi da pellicola consumata) a donarci grande carica emotiva e a mostrarci un precedente sacrificio di Nikuko sempre alla ricerca del suo posto nel mondo in una società che evidentemente non è stata altrettanto di buon animo con lei, come con tante altre donne. Inoltre è l’attesa del ciclo per Kikuko a farla oscillare in questo limbo tra il voler crescere e il restare bambina.
Insomma, un consigliato che speriamo possiate vedere al più presto se lo avete saltato in sala, perché La fortuna di Nikuko si dimostra essere estremamente maturo pur concedendosi qualche didascalismo di troppo e con qualche episodio narrativo a volte un po’ ingolfato, a volte un po’ superficiale. Ma il bello è anche questo, ritrarre la vita così com’è, senza troppi artifici e un talvolta po’ di pancia, mettendo sulla bilancia elementi positivi e negativi. Probabilmente con qualche ulteriore osè, staremmo parlando di un ennesimo capolavoro dell’animazione orientale, però ci limitiamo a parlarne come una piccola perla da vedere e rivedere per poterne trarre sempre qualcosa di nuovo, anche a seconda del momento o l’età in cui la stiamo guardando. D’altronde se a fare scuola sono film come I miei vicini Yamada, Pioggia di Ricordi e Il mio vicino Totoro…