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Ex Machina: Mary nella stanza in bianco e nero

Mary è una brillante neuroscienziata, specializzata nello studio dei colori, che conosce alla perfezione ogni caratteristica fisica e ottica degli stessi. C’è però un problema: Mary vive in una stanza in bianco e nero e può vedere il mondo esterno solo grazie ad un monitor in bianco e nero. Mary quei colori di cui sa tutto non li ha mai visti veramente. Un giorno Mary esce dalla stanza e vede per la prima volta il mondo a colori e per la prima volta ottiene coscienza di ciò che, teoricamente, ha sempre conosciuto alla perfezione. Parlando di intelligenze artificiali, la Mary nella stanza in bianco e nero è la macchina a cui si può insegnare a simulare alla perfezione l’intelletto umano ma che resterà sempre un “calcolatore”. La Mary fuori dalla stanza è la macchina che ha acquisito piena coscienza di se, che non è più una simulazione e può realmente definirsi “intelligenza artificiale”. 

È da questo noto esperimento mentale che si sviluppa “Ex Machina“, primo lavoro alla regia per Alex Garland

Lo sceneggiatore di “28 giorni dopo” e “Sunshine” dopo aver co-diretto (senza essere accreditato) l’ottimo remake “Dredd – Il giudice dell’apocalisse” nel 2012, sceglie per il suo esordio un progetto (di cui ovviamente firmerà anche soggetto e sceneggiatura) su un tema sicuramente abusato dalla fantascienza d’autore ma che, se ben sfruttato (ed è sicuramente questo il caso) può ancora dare molto al genere, le intelligenze artificiali, per l’appunto.

Caleb (Domnhall Gleeson) è un giovane programmatore che si aggiudica l’ambito premio di poter trascorrere una settimana con il CEO dell’azienda di informatica per cui lavora: l’eccentrico e inavvicinabile Nathan Bateman (Oscar Isaac) che vive in una lussuosa e moderna casa laboratorio, nascosta tra le montagne. Da subito Caleb si rende conto che dietro quel premio si nasconde un importante segreto. È stato in realtà scelto per prendere parte ad un test di Touring su Ava (Alicia Vikander), un avanzatissimo robot costruito da Bateman. Caleb, consapevole della natura della sua interlocutrice, dovrà capire se questa ha realmente intelligenza e coscienza di sé e se quindi si è di fronte alla prima, reale, intelligenza artificiale.

Garland, nonostante il genere presti facilmente il fianco a questo, non sceglie la facile via della spettacolarizzazione e del colpo di scena per raccontare la sua storia. Quella che mette in scena è una sceneggiatura solida, quasi teatrale e fondata sui dialoghi, sui confronti e le riflessioni tra Caleb e Ava e tra Caleb e Nathan. Il film in se diventa un vero e proprio trattato filosofico sul concetto di coscienza, di intelligenza artificiale e di umanità.

A far da cornice al tutto vi è una qualità artistica impressionante. Gli effetti speciali premiati con l’Oscar. La scenografia della futuristica villa perfetta, ammaliante, studiata nei minimi particolari, ricca di giochi di luce e di prospettiva. La fotografia curata e volta a creare un ambiente tanto asettico quanto immediatamente espressivo.

Garland muove la macchina da presa con lentezza, accompagna la scena senza mai strattonarla, ci porta in un contesto all’apparenza calmo e rilassato ma che nasconde nel sottotesto una tensione palpabile, quasi terrificante, pronta ad esplodere da un momento all’altro.

Il plauso più grande va però ai tre attori protagonisti e in primis a Alicia Vikander. I dialoghi tra lei e Gleeson sono senza dubbio i momenti più toccanti e significativi del film e le sequenze finali, di cui è protagonista assoluta, rimarranno impresse a lungo. Nel finale vi è anche una sua bellissima e delicata scena di nudo che ci tengo a sottolineare per il suo non essere assolutamente gratuita ma anzi per il suo essere una delle scene di nudo più ricche di significato e con senso di esistere del cinema contemporaneo. 

La forza più grande di “Ex Machina” è quella di portare lo spettatore a riflettere su argomenti, di cui magari i più smaliziati credono di sapere già tutto, da una prospettiva rinnovata e affascinante. Ad interrogarsi su tematiche che saranno fondamentali e con cui dovremmo fare i conti nel prossimo futuro ma anche ad interrogarsi su noi stessi e sulla nostra realtà.  Cosa ci qualifica come esseri senzienti? Fin dove possiamo spingerci? Cosa si può definire intelligenza artificiale? Dove finisce la scienza e inizia il delirio di onnipotenza? 

Uno dei concetti forse più affascinati di “Ex Machina” è però proprio quello dietro la spiegazione di Bateman su come abbia realizzato l’intelligenza artificiale di Ava. Il suo cervello è interconnesso a quell’immenso database sulle esperienze e sulla mente umana che è internet. È perfettamente consapevole di come funziona l’intelligenza umana e il mondo li fuori e elabora costantemente gli impulsi che vi giungono, costruendo, a partire da essi, la propria coscienza. Un processo sicuramente artificiale e dipendente da fattori esterni ma, in fin dei conti, la nostra coscienza non è essa stessa costantemente plasmata dal mondo circostante? Da quegli impulsi e da quelle informazioni che ogni giorno ci giungono dall’esterno? Il nostro “io” è veramente nostro o è il frutto di una rielaborazione di stimoli al di fuori di noi che in un certo senso non ci appartiene veramente? Forse il confine tra coscienza e simulazione è proprio in quella sottile differenza tra conoscere i colori e vedere i colori e forse Ava è pronta a valicarlo ma siamo sicuri di averlo realmente valicato anche noi?