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Il sospetto: percezione o realtà?

Distribuito nelle sale statunitensi il 14 novembre 1941 col titolo: Suspicion, tratto dall’omonimo romanzo scritto da Anthony Berkeley Cox sotto lo pseudonimo di Francis Iles e diretto dal maestro Sir Alfred Hitchcock. Candidato a tre premi Oscar: miglior film, miglior colonna sonora e miglior attrice protagonista a Joan Fontaine, quest’ultima vincitrice della statuetta. La pellicola segna la prima collaborazione tra il regista e l’attore Cary Grant.

Inghilterra, 1938. Lina è una ragazza di famiglia economicamente agiata ma fin dalla prima inquadratura capiamo che è una ragazza sola, non ha amiche, non ha frequentazioni, isolata dal contesto che la circonda. Proprio per questo desta la preoccupazione dei suoi genitori, nel pieno della convenzionalità dell’epoca si lasciano andare a discorsi disfattisti sulle sue possibilità di matrimonio. Ferita nell’animo, accetta quasi per inerzia le attenzioni di Johnnie, giovane aitante con fare da playboy conosciuto su una carrozza del treno. Dopo l’idillio della luna di miele, il marito man mano si rivela per quello che è, un bugiardo cronico nullafacente sempre in cerca di divertimento e soldi facili, il castello di menzogne genera un costante senso di destabilizzazione condiviso dallo spettatore stesso. Ogni volta che un dubbio viene apparentemente fugato subito dopo ne nasce un altro più invasivo, ogni azione sembra amplificata dalla percezione condizionata dal sentimento di incertezza, infatti ogni sguardo, ogni movimento potrebbe essere quello decisivo, la propria casa diventa una potenziale trappola mortale dal quale si rischia di non uscirne.

Fondamentale per la riuscita del film è sicuramente è il connubio tra messa in scena, regia e montaggio con un gioco di luci e ombre e i primi piani che garantiscono l’ambiguità della situazione a cui stiamo assistendo, fa storia del cinema la sequenza “del bicchiere di latte” in grado di racchiudere la summa dell’intero lungometraggio: è veramente avvelenato o il nostro punto di vista è talmente alterato da mostrarcelo diverso da quello che è? Ciò è valorizzato ancora di più dal ritmo del film stesso e dalla sua struttura; infatti, la prima parte è molto introduttiva con lo stile tipico di una commedia romantica per arrivare al vero e proprio thriller seguendo un andamento sempre costante ma mai frenetico, mantenendosi sempre in un equilibrio impeccabile. Di altrettanto importanza è sicuramente la direzione degli attori, la riuscita non sarebbe stata possibile senza la loro capacità di calarsi nei rispettivi ruoli, mediante l’espressività valorizzano ogni momento di silenzio rendendo superflua qualsiasi parola. Joan Fontaine è perfetta nella parte della fanciulla ricca e ingenua desiderosa di amare e di essere amata, al contempo Cary Grant è l’uomo giusto al posto giusto per dare volto al classico bello e dannato che dietro una gradevole apparenza nasconde un’indole violenta e usurpatrice.

La magistrale sequenza finale si conclude con un’inquadratura in cui Hitchcock vuole dialogare direttamente con lo spettatore. L’ambiguità del gesto permette una riflessione sul nostro punto di vista raggiunto alla fine della pellicola, il braccio di Johnnie sulla spalla della moglie cosa significa? È veramente l’ennesimo tentativo di un assassino oppure è il nostro occhio contaminato dall’ instabilità generata dalle situazioni precedenti? Un semplice gesto può essere interpretato in modi del tutto differenti, perché forse in fondo vediamo quello che vogliamo vedere.

P.S.

Nel bicchiere di latte, Hitchcock fece mettere dentro una lampadina per ottenere l’effetto illuminato

Giovanni Urgnani