Articolo pubblicato il 19 Marzo 2022 da wp_13928789
A cosa dobbiamo il successo di The Blues Brothers? Come ha fatto a diventare un cult movie?
Oggi analizziamo i punti di forza di questo film semplice ma estremamente efficace nel suo obiettivo di intrattenere il pubblico.
Il film, diretto da John Landis (regista del celebre videoclip “Thriller” di Michael Jackson, e di note commedie come Una Poltrona Per Due e Il Principe Cerca Moglie) e sceneggiato dallo stesso e Dan Aykroyd, non ebbe particolare successo al suo esordio cinematografico (1980). D’altronde questa delusione iniziale viene condivisa da parecchi film che godono oggi, col passare del tempo, di popolarità e rivalutazioni positive.
L’ascesa faticosa è forse dovuta, si pensa, alla pubblica e cattiva condotta di John Belushi, attore protagonista insieme ad Aykroyd, il quale rese le riprese e il periodo sul set assai turbolenti. All’epoca Belushi faceva incessante uso di droghe, e ciò gravò in modo ingente sulle spese di produzione del film.
Fortunatamente, è bastato poco per riscoprire questo piccolo gioiellino che è The Blues Brothers.
Nel cast, Belushi ed Aykroyd vestono gli iconici panni dei fratelli Jake ed Elwood Blues (l’indimenticabile completo nero con gli occhiali Ray-ban), accompagnati da una schiera strepitosa di musicisti e cantanti soul/R&B, tra cui Aretha Franklin, James Brown, Ray Charles e Cab Calloway.
The Blues Borthers è una commedia musicale, caratterizzata da una colonna sonora che con i decenni è diventata un vero e proprio simbolo del cinema, una chicca!
In retrospettiva si potrebbe definire il film una sorta di omaggio al genere Blues.
La trama comica tende al sottogenere slapstick, e a tratti al non-sense. Basta citare la ridicolizzazione del partito nazista, o il personaggio secondario interpretato da Carrie Fisher, che cerca vendetta omicida nei confronti dell’ex-fidanzato Jake Blues, o il finale che rappresenta indubbiamente una escalation surreale, con innumerevoli incidenti e scontri fra auto. A tal proposito il film entrò nel Guinness dei Primati: mai su un set cinematografico si erano visti così tanti incidenti d’auto, falsi naturalmente.


Insomma, non è un segreto che il film nasca con l’intento primario di far ridere; non potrebbe essere altrimenti date le carriere dei due attori protagonisti, comici dello show televisivo americano Saturday Night Live.
La pellicola è divertente e leggera, utilizza un humour efficace perché elementare, perciò intrattiene. Tuttavia è importante distinguere questa tipologia di scrittura dalla commedia demenziale. Perché in The Blues Brothers, se si analizza la sceneggiatura in maniera intelligente, possiamo scoprire una storia tridimensionale.
Nei bassi fondi della città di Chicago, nell’Illinois, i due fratelli conducono una vita indisciplinata, senza un soldo. Vivono alla giornata. Compiono azioni da teppisti, incuranti della distruzione che causano intorno. Uno dei due, ad esempio, è appena uscito di prigione. Ma nella sventura sono anche molto fortunati, con il giusto tempismo.
L’arrivo della Chiamata sui fratelli, componente rivalutata negli anni dalla critica, non è blasfema ma sinonimo di nuovo interesse cattolico. Un concetto di scrittura non indifferente, anzi profondo per un film spensierato.
Così i due peculiari fratelli Blues, cresciuti in orfanotrofio, trovano finalmente uno scopo: raccogliere una somma di denaro per salvare il luogo della loro infanzia, destinato alla chiusura per assenza di fondi.
Ma affinché il piano abbia successo, occorre riunire “la banda”, in missione “per conto di Dio”.
E volendo trovare un valore simbolico nello stesso utilizzo del Blues, è ciò che lega le masse, che rende tutti uguali a ritmo di musica, indifferentemente dal colore della pelle, dal genere o dall’identità personale.
Come recita il testo di una delle canzoni del film… Everybody needs somebody to love!
Nel 1998 il film ebbe un seguito, diretto ancora una volta da Landis: Blues Brothers – Il Mito Continua. Non ebbe grande richiamo perché non all’altezza del film cult da cui deriva.
D’altronde l’assenza di John Belushi, morto prematuramente nel 1982, era incolmabile.
Paola Perri
Voto: 8/10