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Spider-Man: l’iconicità della trilogia di Sam Raimi

Quando si sta avvicinando un nuovo film sullo stesso personaggio, è sempre un gran piacere ricominciare una prospettiva, ma se si pensa che i ponti di “Spider-Man: No Way Home” si riconnetteranno alle fondamenta degli adattamenti precedenti sul tessiragnatele grazie al multiverso, allora non c’è occasione migliore di questa per parlare di nuovo della trilogia diretta da Sam Raimi iniziata nel 2002 e terminata nel 2007 attraverso “Spider-Man”, “Spider-Man 2” e “Spider-Man 3”!

Tra tutti è inutile dire che l’importanza maggiore ce l’ha il primo film, a prescindere da ciò che pensiamo delle singole opere: storicamente infatti “Spider-Man” è stato fondamentale per la consacrazione dei cinecomic al cinema. “Blade” e “X-Men” sono stati i primi film Marvel ad andare bene al botteghino e quindi di certo hanno permesso la produzione del film sull’iconico arrampicamuri, ma è stato il successo di quest’ultimo a superare talmente tanto le aspettative da generare una vera e propria scia di film di supereroi che non la finivano più… e nessun’opera per anni è mai riuscita a replicare lontanamente questi risultati di pubblico fino a quando non è uscito “Il Cavaliere Oscuro” e, pochi anni dopo ancora, “The Avengers” che consacrerà il Marvel Cinematic Universe.

Tuttavia il successo di pubblico non è l’unica cosa che conta: a differenza di titoli che all’epoca andarono bene ma che oggi non sono tra le opere più ricordate (anche citando un esempio relativo al genere: “I Fantastici 4” di Tim Story), questa trilogia è ancora oggi impiantata nel cuore degli spettatori ed è spesso citata come uno degli esempi massimi per come si vuole concepire un’opera di supereroi. Lo stesso Stan Lee, negli ultimi anni di vita, aveva detto che il suo cinecomic preferito rimane il primo capitolo di Raimi per aver dettato delle basi senza precedenti per quanto riguarda il filone sui supereroi. Molti di voi adesso staranno storcendo il naso: i “Superman” di Richard Donner? I “Batman” di Tim Burton? Quelli non verranno presi come ispirazione? Ma certamente non stiamo sminuendo l’importanza di tali opere, ma ci sono degli elementi molto diversi che non possiamo non considerare.

Le opere di Donner e di Burton, oltre a lanciare spettacolarità e tipi di estetiche fino ad allora estranei al grande pubblico di fine anni 70 e fine anni 80, presentavano dinamiche proprie del cuore dell’essere umano, ma erano principalmente legati a qualcosa di più distaccato: il Superman di Donner presentava grande speranza e gioia di vivere, ma era un punto di riferimento molto idelogico e quasi divino, mentre il Batman di Burton, per quanto fosse ancora più stratificato e forse in avanti nei tempi (la critica sociale in “Batman Returns” è ancora oggi attualissima), esprimeva l’ideologia dell’autore attraverso elementi grotteschi o fiabeschi e lo stesso uomo pipistrello rimaneva più un simbolo della maschera che un personaggio realistico (ma non per questo meno affascinante e profondo e la stessa cosa vale per Superman, sia chiaro). Anche spostandoci sulle pellicole Marvel citate in precedenza: Blade si concentrava sul suo essere un ibrido tra essere umano e vampiro, mentre gli X-Men di Singer nel primo capitolo, pur trattando una dinamica sociale in modo più realistico per la prima volta nei cinecomic, erano appunto il simbolo della diversità ed ancora lontani dalla figura consacrata del supereroe classico al cinema (le cose saranno già diverse nel secondo capitolo uscito dopo “Spider-Man”). Ma qual è allora il dono, l’importanza lasciata dagli Spider-Man di Raimi che lasciò tutti a bocca aperta?

Prima di approfondire questa domanda, rispondiamo in parte per quanto riguarda il lato visivo dei film: la regia delle opere è eccezionale ed ancora oggi fa spavento. I movimenti di macchina da presa ci permettono di percepire tutta l’immensità del personaggio, facendoci assaporare ogni suo salto ed ogni sua arrampicata, senza mai farci dimenticare che si sta trattando di un uomo, attraverso colpi fisici di cui avvertiamo ogni colpo ed ogni goccia di sangue (le ferite di Peter Parker sono forti anche quando non sono esplicite come in un film vietato ai minori) in qualunque combattimento. Ogni scena dura al punto giusto, con primi piani molto interessanti e ricerche nello sguardo dei personaggi mentre osservano l’avversario o il disastro che hanno di fronte (celebre ormai l’inquadratura degli occhi del protagonista mentre osserva la caduta, o il breve piano sequenza nel volto di Doctor Octopus mentre attende il suo nemico). E come abbiamo anticipato, la maniacalità di Raimi nel curare ogni dettaglio, tanto da ricorrere spesso a miscugli tra scene girate in studio con scenografie vere ed animazioni fotorealistiche in CGI, permette una percezione degli ambienti e del carnale che ha pochi eguali nel genere. Questi stratagemmi registici permettono un grande invecchiamento persino nel primo film, il quale ha alcune animazioni che appaiono più evidenti oggi, ma grazie ai tocchi di Raimi la spettacolarità è ancora molto forte, per non parlare dei sequel che non risentono dell’invecchiamento ed appaiono quindi perfetti visivamente.

Ma al di là della perfezione tecnica che lascia ancora oggi a bocca aperta, questa trilogia iconica è rimasta tale per un semplice motivo: la profonda umanità del personaggio. Per la prima volta si affronta il concetto supereroistico a 360° gradi, senza andare solamente nella simbologia, perché più volte viene mostrato che Peter Parker, il protagonista, è una semplice persona normale, un ragazzo di tutti i giorni che improvvisamente si sente il peso della vita di molte persone sulle spalle, spinto dalla responsabilità di avere il potere e di utilizzarlo per qualcosa che va al di là dei fini egoistici… ed anche lì Peter si lascia andare a piccole tentazioni, come per esempio la consegna delle pizze che è una cosa innocente, per ricordarci che è un ragazzo che ogni tanto ha bisogno di un attimo di respiro. La sua giovane età lo porta su contesti di crescita, una crescita che immediatamente lo colpisce a causa della morte di Zio Ben, morte di una figura paterna che l’ha lasciato troppo presto. E proprio questa crescita prematura va a finire in contrasto con l’approcciarsi al suo mondo intimo, conoscendo per la prima volta l’amore vero per una ragazza, entrando per la prima volta nel mondo del lavoro arrangiando qualcosa e studiando per l’università. Fin qui la simbologia era già esistente in Superman, ovvero utilizzare appunto i propri poteri per un bene superiore, per aiutare le persone… ma qui, Spider-Man compie un passo diverso che fu lo stesso che caratterizzò la sua nascita negli anni 60 e rivoluzionò completamente il mondo della letteratura fumettistica.

Oltre alla spettacolarità delle incredibili azioni di Spider-Man, Raimi ci tiene moltissimo ai dialoghi che catturino tutti i disagi e le insicurezze del personaggio. Per la prima volta nella storia cinematografica, vediamo un semplice ragazzo che ha estreme difficoltà ad equilibrare la sua vita privata con la sua vita supereroistica, mostrando al grande pubblico che essere un supereroe comporta numerosi rischi e dinamiche scomode che vanno a cozzare con quello che affrontiamo tutti i giorni. Rivelare la propria identità al mondo non comporterebbe un rischio scomodo e di fama, ma colpisce le persone che amiamo di più se si porta la maschera sfidando la criminalità. E qui i personaggi, accompagnati da performance di attori sempre perfettamente calati nella parte (Tobey Maguire sfoggia una delle performance migliori che si siano visti nei cinecomic e non solo lui), attraverso delle discussioni che vanno a scavare nel profondo dell’animo, fanno avvertire esattamente tutti i disagi che stanno provando, tutto l’imbarazzo dovuto ai continui ritardi e le continue mancanze di Peter che non c’è nel momento del bisogno quando in realtà lui sta aiutando varie persone.

Questo è ciò che ha introdotto Spider-Man: il contesto del sacrificio, dovuto alle proprie scelte. Non è un caso che la straordinaria scena del treno, definita da molti come una delle scene d’azione più belle del 21° secolo, richiami ad una dinamica cristologica, al sacrificio di Gesù sulla Croce martoriato e compreso dalle persone che vedono in lui una chiave che li aiutino ad andare avanti oltre che per essere salvati (per salvare tutti, Peter assume le braccia conserte). Spider-Man nelle sue opere è il simbolo di ciò che è dà speranza alla gente per un domani migliore: aiutare il prossimo con tutte le proprie possibilità. Ma se il mondo fittizio della New York aiutata dall’arrampicamuri vedono in lui l’esempio da seguire anche nelle azioni più piccole (spesso evidenziate anche nel film, vedasi l’aiuto che le persone danno durante la battaglia con Goblin) per rendere il mondo un posto più bello in cui vivere, lo spettatore vede anche il peso che tormenta Peter quando vorrebbe fare qualcosa che lo appaghi ma alla fine decide di seguire le sue responsabilità, in modo che possa essere un bene per tutti. La rinuncia a ciò che più amiamo può aiutare: è sempre giusta? A volte possiamo evitarla? Riusciamo a trovare un equilibrio? Queste continue domande, spesso tirate in ballo proprio nei film, aiuta lo spettatore ad immedesimarsi di più nell’eroe, in modo da sentirsi arricchito non solo dal divertimento dell’azione, ma anche nella sua formazione, come ogni opera autoriale che si rispetti.

Perché questa trilogia non è un semplice colpo di fortuna: la mano di Sam Raimi, il quale in dei momenti inserisce addirittura dei tocchi horror (l’incubo di Goblin, l’incidente in ospedale, la nascita di Venom), perché lui non vizia nemmeno il pubblico più giovane, mantenendo però un perfetto equilibrio tra ciò che vuole il grande pubblico e ciò che vuole esprimere lui, creando la formula perfetta per un blockbuster che rispetta la sua mano uscendo dagli schemi in maniera velata ma allo stesso tempo anche evidente (e lo sarà ancora di più quando sarà più frequente il tipo di standardizazione dei cinecomic, come ogni fenomeno che si rispetti). Persino il tanto bistrattato “Spider-Man 3”, colpevole di vicissitudini produttive spiacevoli che hanno per la prima volta messo in difficoltà il regista, riesce a trapassare lo spirito dell’essere umano tramite una potente rappresentazione della rabbia e del perdono nonostante i problemi narrativi… ad avercene di film minori di grandi registi che raggiungono questa qualità, ancora di più se rivolti al grande pubblico!

E questa delicatezza di Sam Raimi si esprime anche nei villain dei film, i quali hanno raggiunto, chi più o chi meno, tutti una straordinaria trattazione, perché tutti questi elementi accomunano una cosa: la tragicità dovuta a sfortune e la spinta di qualcosa nascosto già dentro di loro ma che esce fuori nel modo più cattivo e peggiore. Questa trattazione rende ogni villain presente in queste opere superiore ad un semplice cattivo che ripercorre la semplice base del combattere per il potere (e Goblin, che rispetta questa base, ha molte stratificazioni che vanno nella disperazione di rimanere sempre al primo posto nel mondo creando saccenza ed aggressività). Dovunque vi voltiate, non c’è un solo frame dei film in cui non traspare umanità, che rende il mondo creato da questa mitologia tratta dai fumetti di Stan Lee un posto in cui sognare ma anche in cui ritrovare sé stessi attraverso la forza dei nostri cari più bisognosi rappresentati dai cari di Peter contro tutte le avversità. A questo punto ne approfitto per farvi leggere un altro omaggio scritto però dal mio collega Christian D’Avanzo che ci teneva a spendere due parole su tutto ciò. Partiranno da ora fino alla citazione finale:

<<Guardare o leggere qualcosa su Spiderman è sempre elettrizzante, perché sai che in lui troverai una qualsivoglia rappresentazione di te stesso. Se dovessi stringere il campo solo al cinema, allora direi che in tal senso non c’è niente di meglio che riguardarsi la trilogia diretta da Sam Raimi, nonostante per molti non sia il vero Spider-Man sul piano estetico. Eppure credo che la grandezza di quei tre film, in particolar modo i primi due, stia proprio nell’umanità di Peter Parker ancor prima di Spider-Man, il giusto dramma che manca al nuovo di Tom Holland. Toccante provare sempre diverse e nuove sensazioni ogni volta che cresci e ti fai un bel rewatch dello Spider-Man di Raimi, perché come Peter ci troviamo anche a noi a maturare, a fare nuove esperienze che ci hanno formato nel bene e soprattutto nel male, ad aver vissuto un amore folle a cui potremmo pensare osservando Mary Jane, perché no?

Da bambino sei affascinato dalla scoperta dei poteri, dallo sfigato di turno che dal nulla ha un’occasione pronta da sfruttare per cambiare radicalmente la sua vita, sei affascinato dall’oscillare tra un palazzo e l’altro nella cornice neyworkese.. poi però, come dicevo prima, cresci.. e allora dai un valore diverso a quel costume, a quei poteri, a quelle grandi responsabilità gravose sulle spalle di Peter. Capisci che gli elementi più intensi e profondi sono quando il costume non c’è, quando le ragnatele non vengono sparate e nessuno si arrampica.. ossia quando Peter e Zia May sono coscienti entrambi del grande segreto, ma nessuno dei due lo dirà mai direttamente, perché il non detto può avere più valenza del detto. Capisci che uno sguardo, gli occhi bagnati, un tocco o un bacio possono valere più di scambiarsi complimenti o dirsi quanto si sta bene insieme (quanto è vero che più si cresce e più contano i fatti delle parole).

Spiderman è la maschera, Peter è quello che incassa i colpi ma non dice niente a nessuno avendo a cuore il bene di tutti, sa bene quanti sacrifici sta facendo ma, nonostante le tante sofferenze, è consapevole che aiutare il prossimo è il modo più bello di essere ricordati. Essere amati ed amare, che sia un amico (Harry), che sia un genitore (zia May) o una ragazza\o (Mary Jane), il risultato è sempre quello: significare qualcosa per gli altri. Peter riesce a diventare, pur essendo come tutti noi imperfetto, sia un simbolo tramite Spider-Man che una persona di cuore ed altruista, sempre pronto ad aiutare chi ama… e ci arriva tra alti e bassi, come la vita vera, nel corso di tre lungometraggi.

E non è tutto: rivedere adesso i film di Raimi, per la nostra generazione significa anche riconoscersi nella ricerca stessa di sé: i primi lavori malpagati, il primo appartamentino, la costruzione di una figura professionale degna di nota, rapporti controversi con il capo, trovare comunque il tempo da dedicare alle persone a cui tieni.. e in tutto ciò è impossibile non avere un momento di crisi, un momento in cui ti sembra di perdere i tuoi poteri scivolando giù da un muro senza possibilità di attutire la caduta.. eppure, ci si rialza perché si hanno delle responsabilità nei propri confronti e in quelli del prossimo, perché Spiderman ci ricorda che ognuno di noi può fare la differenza.>>

“Io penso che ci sia un eroe in tutti noi, che ci mantiene onesti, ci da forza, ci rende nobili. E alla fine ci permette di morire con dignità anche se a volte dobbiamo mostrare carattere e rinunciare alle cose che desideriamo di più, anche i nostri sogni.”

E dopo questa sincera parentesi del mio collega, io non posso fare altro che immergermi nei sogni ripensando ancora alle iconiche note del tema di Danny Elfman che mi ricorda che l’eroe che tutti cerchiamo è dentro di noi. Grazie a Sam Raimi e all’intera sua squadra per averci regalato due capolavori ed una terza opera più che interessante per formare una trilogia che ancora oggi è tra le più celebri di sempre. Vedremo successivamente come se la caveranno le altre rappresentazioni del personaggio, ma questo è di certo un grande inizio!

Andrea Barone