Articolo pubblicato il 13 Aprile 2022 da wp_13928789
L’estate è finita, un’altra stagione dei premi si avvicina ed ecco subito spuntare quei film che saltano all’occhio come confezionati proprio per l’occasione. Ci sono i grandi Biopic, i Musical, i film sui diritti delle donne e quelli legati a vicende e personaggi della comunità afroamericana. E poi c’è Respect che vuole essere tutti questi film assieme.

La confezione, appunto, è proprio quella del film per gli Oscar. Una buona fotografia, scelta curata di scenografie e costumi, un regia di mestiere, presente ma mai eccessivamente autoriale (lascia un po’ di perplessità la scelta di usare in pochi sparuti momenti uno stile documentaristico). Il grande ruolo c’è, e forse è la parte migliore del film, perché l’Aretha Franklin di Jennifer Hudson colpisce e accentra su di se tutta l’attenzione, quando è in campo domina la scena. Mai eccessivamente caricaturale, forse qualche faccetta di troppo, ma una prova sicuramente di livello impreziosita dal talento canoro della star che reinterpreta le più grandi hit della regina del soul.

Ottima confezione quindi, per un film che però finisce per essere niente di più di un freddo e confusionario calderone. Il più grande errore che possa fare un biopic è quello di raccontare tutti i passaggi della vita di un personaggio, dimenticandosi di quanto in realtà, per delineare realmente la sua personalità, basterebbe un solo spaccato di vita ben sceneggiato. Per non parlare del fatto che la vita vera non segue quasi mai gli atti che una buona sceneggiatura dovrebbe avere. Ne risulta quindi solo un lungo elenco di avvenimenti che, quasi come nel leggere una biografia su Wikipedia, si susseguono senza un vero legame tra le scene. Così, tutto si sovrappone e si confonde, momenti di crollo e momenti di rinascita, traumi accennati e mai veramente approfonditi, crisi nate, subito dimenticate e poi riprese senza continuità logica, personaggi che compaiono e scompaiono, si avvicendano e evolvono di colpo nel far da cornice ad un percorso di crescita, quello della nostra Aretha, troppo repentino e schizofrenico per essere vissuto a pieno dallo spettatore fino a concludersi in un finale che lascia alquanto perplessi. Cosa avrà voluto dire il regista con quell’ultima inquadratura? e se proprio quello voleva essere il tema cardine del film, perchè non lo si percepisce mai prima? Ecco! proprio sulle tematiche la pellicola pecca ancora di più, volendo parlare di tutto e finendo, causa fretta, nel non approfondire nulla.

Eppure il film dura ben 145 minuti, il tempo per scavare affondo c’era tutto, la volontà forse no. Di questo Respect rimane ben poco, belle le canzoni (ma ci mancherebbe altro), brava lei (ma a conti fatti non da Oscar), per il resto è un grande buco nell’acqua. Uno di quei film che ha provato a dir la sua nella imminente stagione dei premi, probabilmente passerà inosservato (o quasi) e finirà per essere visto per caso da mia madre un sabato pomeriggio su Sky mentre si riposa sul divano.
Voto: 4/10
- Carlo Iarossi
Andrea Barone: |
Andrea Boggione: |
Christian D’Avanzo: |
Paolo Innocenti: 7,5 |
Giovanni Urgnani: |