“800 eroi” è un film cinese del 2020 diretto da Guan Hu, uscito da noi quasi contemporaneamente in sala e in streaming grazie al Far East Film Festival, l’uscita cinematografica è stata il 25 giugno 2021. Con grande gioia finalmente abbiamo potuto ammirare un film orientale in sala e speriamo che le porte dei cinema (e soprattutto le porte mentali delle persone) si siano aperte definitivamente per i prodotti proveniente dall’oriente (forse dovremmo anche ringraziare “Parasite, no?). In Cina è stato un Kolossal che ha incassato più di tutti nel 2020.
La trama è incentrata durante il secondo conflitto sino – giapponese nel 1937, dove 800 soldati dell’esercito cinese vennero distaccati a protezione di un deposito di armi che risultava fondamentale per la conquista di Shangai. L’invasione del Giappone è stata lunga e asfissiante per la Cina, lungi dall’essere la nazione compatta che abbiamo poi conosciuto come la Repubblica Popolare Cinese sotto la guida di Mao Tse Tung.
Il racconto propostoci dal regista Guan Hu segue le vicende di questi 800 soldati, di cui alcuni giovanissimi ed altri non proprio inclini al combattimento e per questo ritenuti disertori osservati con disprezzo. Le curatissime scenografie mettono subito in chiaro una netta distinzione simboleggiata dal fiume divisore di Suzhou, dove da una parte vi è il 524esimo reggimento chiamato anche “Gli ottocento”, costretta a insediarsi nel deposito di Si Hang per difendere i fondamentali armamenti (se i Giapponesi arrivano al cuore di essi, allora anche Shangai e dunque la Cina sarebbero conquistate), alle loro spalle oramai è terra bruciata, bombardata e annientata, c’è solo la morte; in contrapposizione, l’altra parte del fiume in cui i civili sono nettamente separati dai soldati anche a livello ideologico, vi sono persone di ceto sociale ricco e indifferenti alla guerra in corso (addirittura un locale ha un’insegna colorata: “Enjoy the life”, mentre dall’altro lato del fiume si muore). Questo è dovuto anche al fatto che è zona franca (ci sono anche militari britannici a controllare la situazione) e di conseguenza le concessioni internazionali sono fiorenti, la guerra non può toccare quello spazio. La color correction satura e malinconica, con questi colori che rendono ancora più sporca la fotografia dandoci l’idea di tragicità e ricordandoci anche un po’ lo stile snyderiano, è funzionale in virtù anche della separazione netta tra le due parti: dal grigiore della distruzione ai colori accesi e sfumati dei night club, dei casinò e dei vari locali presenti nella zona più di confort. Se da un punto di vista estetico può convincerci, dall’altro invece la narrazione e la sceneggiatura risultano un po’ confuse poiché, quasi ricordando un po’ “Dunkirk”, si è scelto di fornirci un punto di vista distaccato. Non ci sono veri e propri protagonisti, si inizia a familiarizzare con qualche viso soltanto col passare del tempo, ossia dopo un’oretta circa dall’inizio del film e non vi è una caratterizzazione vera e propria della psicologia di questi soldati con cui Guan Hu decide di farci seguire gli eventi. A proposito della regia, nota di merito per la scelta immersiva (dato che la sceneggiatura non lo è abbastanza) con una cinepresa sempre in movimento e molto vicina ai personaggi, quasi asfissiante, dando l’impressione di utilizzare quasi dei piano sequenza, seguendo qualcuno per poi passare ad un altro; eppure i tagli sono presenti, quindi resta una semplice impressione dettata dal perenne muoversi della camera, con l’alternarsi interessante dei punti di vista tra soggettive (a dire il vero un po’ banali, servendosi del mirino delle armi), un discreto utilizzo della profondità di campo e il mostrarci ciò che vedono le persone tramite il movimento a rimbalzo, con cui l’occhio della cinepresa va in avanti partendo alle spalle e poi torna al suo posto continuando nella sua fluidità, rinunciando a dei tagli. Sono numerose le riprese dal basso e le carrellate, di meno quelle dall’alto e quelle in campo largo a dare respiro, presenti per dare l’idea del luogo in cui si sta svolgendo la guerra.
Una guerra che però non colpisce come dovrebbe, mancano picchi e momenti di intensità tale da essere ricordati, la violenza c’è ma non è troppo abbondante e forse quello che più manca è l’empatia, di scarso grado. La spettacolarizzazione della guerra è riuscita da un punto di vista estetico, ma ripeto, manca un cuore pulsante che sancisca vera emotività. Proprio sulla spettacolarizzazione si prende una strada ben precisa, quasi come a volerci far immedesimare nei civili presenti sull’altra parte del fiume: ci sono ragazzi che vendono binocoli ai passanti per fargli vedere meglio la guerra in corso, si canta, si gioca, si parla… come se fossimo noi spettatori in sala ad assistere incolumi e indifferenti alle sofferenze dei soldati. La Cina da questo punto di vista è divisa, nessuno si prende la briga di aiutare gli 800 eroi che lottano per la patria in nome di un nazionalismo ancora in stato di sviluppo (c’era già il partito nazionalista si, ma erano in pochi a praticarlo e a professare quel tipo di idealismo). Il messaggio è chiaro: l’unione fa la forza, il valore patriottico e il senso di appartenenza ad una identità ben precisa è il fulcro di una grande Nazione, e per sconfiggere il nemico comune bisogna che ognuno faccia la propria parte, anche i civili esterni ai combattimenti. In questo senso, nonostante i soldati dopo uno scontro a sangue siano stati ridotti fino a 450 circa, il loro colonnello ritiene gli eroi 800 e non soltanto i restanti sopravvissuti (oltre la scena della bandiera innalzata e difesa fino alla morte). Sul finale si verte sull’altruismo ormai sviluppato, dove i combattenti pensano a salvare prima il proprio compagno che sé stessi, e anche i civili si muovono personalmente in loro aiuto attraversando il ponte che separa le due parti. Emblematica l’ultima inquadratura con la quale si chiude il film: la cinepresa parte dal magazzino e torna indietro, nel frattempo c’è stato uno stacco e ci accorgiamo che siamo passati alla Cina attuale, quasi come se Guan Hu avesse posizionato la sua camera per poterci raccontare la storia di un tempo legata a quel luogo (ma in realtà a tutta la Cina). Inoltre si concede anche un simbolismo, il cavallo bianco che a fine film non è più puro ma macchiato di sangue!
Dunque, “800 eroi” è un war movie che racconta la guerra in modo immersivo e con un’estetica molto interessante, manca di elementi che aggiungano originalità, quel “quid” in più che qui non si riscontra francamente e di conseguenza non va oltre l’essere semplicemente un bel film con annesso contenuto bonario. Nonostante le 2h29 circa di durata, il ritmo è gestito abbastanza bene e pur non empatizzando in particolar modo con nessuno dei personaggi presenti, non ci sono momenti di noia. Promosso con riserve. Merita assolutamente la visione in sala e sosteniamo i prodotti orientali che ci arrivano!
– Christian D’Avanzo