“Comedians” di Salvatores: una tragicommedia dal sapore più amaro che comico

Articolo pubblicato il 6 Gennaio 2022 da wp_13928789

“Comedians” è l’ultima fatica di Gabriele Salvatores, che torna al cinema con una pellicola che ha come base un’opera teatrale degli anni ’70, dopo la tiepida accoglienza riservata a “Tutto il mio folle amore”. Forse dietro questa scelta, oltre una grande stima per la pièce teatrale, c’è proprio la volontà del regista di tornare in sala con qualche certezza in più. Sarà andata bene?

Il film è stato distribuito al cinema dal 10 giugno dalla 01 Distribution e la trama verte su un gruppo di sei comici amatoriali (Ale e Franz, Vincenzo Zampa, Walter Leonardi, Giulio Pranno, Marco Bonadei) guidati da un professore\mentore, Eddie Barni (Natalino Balasso). Arrivati alla fine del corso per i fortunati aspiranti comici arriva l’opportunità di esibirsi davanti un esaminatore, Bernardo Celli (Christian De Sica), con cui Barni ha avuto qualche screzio in passato, e questo potrebbe influire sul giudizio finale verso i suoi allievi.

Una trama semplice ma che in realtà cela un qualcosa di davvero complesso e riflessivo, e che forse si poteva rendere ancora più incisivo nell’arco dei 96 minuti del lungometraggio. Infatti, pur avendo Salvatores gestito egregiamente il gioco di inquadratura con una regia dinamica e sempre pronta all’occasione giusta (ottimo il gioco di messa a fuoco) all’interno dell’unica stanza (un’aula scolastica) in cui il film è ambientato (in più un paio di brevi esterni ed un palcoscenico), pur avendoci presentato una fotografia grigia e malinconica, si poteva decisamente sfruttare l’arma cinema per un’opera che non riesce a staccarsi dalla sua natura teatrale. A parte un montaggio alternato adoperato durante le esibizioni finali dei comici, “Comedians” resta legato troppo al teatro e non si tuffa quasi mai nel cinema pur avendo una sceneggiatura riflessiva, potente, ma che non fa quel salto in più come magari si sperava (abbiamo invece un esempio calzante di un’opera teatrale che sfrutta alla perfezione il mezzo cinematografico, ossia “The Father – nulla è come sembra”). Anche le interpretazioni dei bravissimi attori scelti per formare il cast, ha un’impronta teatrale marcata che non sfrutta però mai per la comicità, un po’ assente durante il film. Con personaggi come Ale e Franz, seppur interpretando degli aspiranti comici (non ancora professionisti), si poteva lasciare di più il segno e mescolare una comicità memorabile ad un aspetto tragico che invece colpisce eccome, però purtroppo ci si diverte poco con battute ormai assodate. Se di tragicommedia si deve parlare, allora anche la comicità doveva essere all’altezza della tragicità, poiché c’è una disparità abbastanza elevata tra questi due livelli. Se da un lato non si ride quasi mai, dall’altro lato il tragico e l’amaro salgono in cattedra e trasportano lo spettatore in un mondo attuale e ricco di spunti di riflessione, filosofeggiando alla grande sulla comicità stessa e sui prodotti audiovisivi in generale. Ci vengono presentati due poli opposti: Eddie Barni è l’autore appassionato ed oramai fuori dal mercato, un uomo profondo e fortemente assennato; dall’altra parte invece Bernardo Celli assume un po’ il ruolo del produttore cinematografico e televisivo, colui che la parte riflessiva la vuole sradicare in favore di un umorismo ritenuto becero da Bardi, ma che funziona al servizio di un pubblico generalista che non vuole fermarsi a meditare bensì a ridere in modo spensierato e senza troppi indugi. Tutto gira intorno a queste due sfere di pensiero: autorialità e mainstream. La grandezza della sceneggiatura sta proprio nel mettere lo spettatore di fronte ad una scelta, facendolo immedesimare nei sei comici che si troveranno a dover imboccare una strada piuttosto che un’altra (Bardi o Celli? Autore o produttore? Porteranno una comicità riflessiva, profonda, oppure cambieranno il loro sketch apposta per delle risate facili?). Un dualismo che possiamo diffondere fino ai giorni nostri, adattandola alla perfezione per un discorso di mercato cinematografico e\o teatrale. Non a caso oggi si sta diffondendo più il cinema mainstream, il simulacro, un’estetica esasperata volta alla spettacolarizzazione dei prodotti audiovisivi da fruire in sale sempre più grandi, mentre il cinema d’autore sta trovando sempre meno spazio a causa della pigrizia mentale del pubblico stanco di guardare prodotti impegnativi, quasi d’èlite oramai. Dunque per coloro che vogliono fare cinema o teatro, i comici o drammaturgi, c’è proprio questo contrasto interiore: si segue un proprio stile, una propria identità artistica, oppure ci si deve omogeneizzare per poter entrare facilmente nei meccanismi di mercato? Una riflessione molto importante questa offertaci dall’ottima sceneggiatura di “Comedians”, unita proprio ad un discorso di profondità dell’autore in quanto deve essere spinto da qualcosa, un’esigenza che implichi la fuoriuscita di pensieri e discorsi mescolati ad uno stile unico e proprio, che possano far ridere o piangere a seconda del mestiere ma che sottintendano un di più per poter migliorare la nostra società, rendendo consapevole il pubblico (invece di ritenerlo stupido e cialtrone).

Ale e Franz (Leo e Filippo Marri) durante la loro esibizione finale sul palcoscenico

Inoltre l’aura malinconica del film (una fotografia grigia ed un temporale perenne fuori dalla finestra) è giustificata dal fatto che ognuno dei comici ha alle spalle una vita infelice con dei traumi, delle sofferenze o degli screzi mai passati (vedasi il rapporto tra i due fratelli interpretati da Ale e Franz, ma anche tra i personaggi di Giulio Pranno e Marco Bonadei, rispettivamente Giulio Zappa e Samuele Verona), questo si riflette sulla loro comicità che, guidati da Bardi, dovrebbe appunto essere un elemento aggiuntivo per poter mettere a disposizione del pubblico degli sketch tragicomici, satirici, che non si fermino alla sola risata ma che facciano anche riflettere poi per poter migliorare quello che non va, fuoriuscire dagli stereotipi che generano solo odio. “Comedians” è un film che, seppur sottotono per l’utilizzo del mezzo cinematografico e di una comicità vecchiotta e poco incisiva, ha comunque una sceneggiatura estremamente riflessiva e che ci porta a pensare molto su vari aspetti: sul ruolo dell’artista, della comicità, del mercato, ed è tutto espandibile su più livelli poiché come abbiamo visto è un discorso valido sia per la comicità che per il cinema che per il teatro in generale. Come si abbandonano gli stereotipi per poterci migliorare? Cosa spinge l’artista a dire o fare una determinata cosa e in quel modo specifico? Davvero tanti i punti su cui meditare, davvero un pregio troppo grande per bocciare un film che riesce comunque ad attivare lo spettatore anche dopo la visione, quindi ci va bene anche così.

– Christian D’Avanzo