“Minari”: una ricerca di appartenenza

Articolo pubblicato il 6 Gennaio 2022 da wp_13928789

Tra i diversi titoli che si sono guadagnati più di una nomination agli scorsi Academy Awards (la 93° edizione degli Oscar) c’è sicuramente il sorprendente “Minari”, un film del 2020 scritto e diretto da Lee Isaac Chung, cineasta statunitense di origini sudcoreane, che raggiunge il successo globale con questo suo film a tratti autobiografico. Siamo nei primi anni 80 e la famiglia Yi per volere del padre e marito Jacob (Steven Yeun) si trasferisce dalla California nel cuore dell’Arkansas rurale per inseguire il suo sogno lavorativo, nonostante le preoccupazioni della moglie Monica (Han Ye-ri). Di conseguenza la loro vita cambia, in particolare quella dei due figli Anne (Noel Kate Cho) e il piccolo David (Alan Kim). A complicare le cose in casa si aggiunge l’arrivo dell’anziana nonna Soon-ja, interpretata dalla straordinaria Yoon Yeo-jeong, la neo vincitrice dell’Oscar per la Miglior Attrice Non Protagonista, la quale arriva dalla lontana Corea. David inizialmente fa molta fatica ad interagire con Soon-ja, visto che si discosta molto dal classico stereotipo della nonna americana, ma nonostante delle incomprensioni iniziali riesce a creare un legame forte con lei. Infatti noi spettatori vediamo e viviamo il tutto per la maggior parte del tempo attraverso gli occhi del bambino e in particolare la sua relazione con la nonna, una figura che si rivela essere importante e costruttiva. Il film indipendente, una produzione Plan B Entertainment, dopo la presentazione al Sundance Film Festival, nel giro di poco tempo si è fatto strada tra vari festival e cerimonie cinematografiche guadagnandosi diverse nomination: dagli Indipendent Spirit Awards ai vari premi assegnati dalla critica a Chicago, Boston e Los Angeles, passando per la vittoria del Golden Globes per il Miglior Film Straniero e le 6 candidature agli ultimi Oscar. Questo dimostra, in particolare nel caso dell’Academy, come negli ultimi tempi ci siano sempre più aperture verso il mondo orientale. “Minari” è un discorso culturale che ci racconta il percorso di una famiglia di immigrati che devono affrontare una serie continua di ostacoli prima di poter raggiungere quell’ideale di una possibile vita migliore. Lee Isaac Chung riesce a rendere tutto questo in modo tale che sia decisamente fruibile per un pubblico occidentale: abbiamo una regia dinamica, una cornice musicale toccante e molto descrittiva degli ambienti e delle situazioni che circondano e affrontano i vari personaggi attraverso rapide azioni e dialoghi. Tecnicamente validissimo e molto curato in ogni suo dettaglio, una visione naturalistica in un ambiente ricco di colori caldi che a tratti riescono ad avvolgerti ed a trasportarti all’interno della storia, una storia capace di emozionare e strappare un sorriso senza un vero happy ending, ma con la speranza che questa famiglia riesca a raggiungere il proprio obiettivo. Lungo la narrazione non abbiamo troppe scene chiave, ma giusto quelle che servono a mantenere quel ritmo costante che intrattiene noi spettatori dall’inizio alla fine del film.

“Nonna, tu non sei una vera nonna. Com’è una vera nonna? Cuoce i biscotti, non dice parolacce e non si mette le mutande da uomo”

– dialogo tra David (Alan Kim) e sua nonna (Yoon Yeo-jeong). 

Il film è disponibile dal 26 Aprile, finalmente, nei nostri cinema (in quelle ad oggi ancora poche sale aperte nelle zone d’Italia dove è stato possibile riaprire), ma da oggi potete recuperalo anche su Sky Cinema e su Now. Non perdetevi una vera propria esperienza cinematografica. Insomma “Minari” è la ricerca di appartenenza da parte di una famiglia che decide di vivere e crescere in un paese straniero, un mondo molto diverso dal loro, cercando di raggiungere i propri obiettivi: vivere, ma soprattutto sopravvivere, nonostante tutti i problemi e gli ostacoli della loro vita. Lee Isaac Chung ci parla quindi attraverso la sua opera di vita, integrazione, conflitti, differenze culturali e sociali, concetti e tematiche molto attuali che si vanno ad integrare benissimo con una storia semplice quanto incredibilmente potente e realizzata in maniera ancor più straordinaria, perché mai banale nonostante non sia così innovativa. Il minari, la pianta che sarebbe una sorta di prezzemolo della penisola coreana e che da il nome alla pellicola, è un elemento che racchiude in sé uno dei messaggi più importanti ovvero quella mancanza che provano i nostri protagonisti nei confronti della loro madrepatria. Una pianta che racchiude nella sua essenza quella voglia di mantenere vive le proprie origini. 

– Andrea Boggione